Liberalismo e liberismo (risposta a V.Nocchi)

Ritengo giusto cercare di non ridurre questo blog a mero luogo di slogans elettorali, di propaganda. Per questo, oggi, vi propongo un argomento che ho
ricavato dall'interessantissimo ultimo libro del "compagno" Venanzio Nocchi: "Fondamenti teorici ed incidenza sociale del concetto di sintesi".
Nel capitolo in cui parla del filosofo americano John Dewey, Nocchi, devo dire con acutezza e profondità non certo comuni, afferma che il "liberalismo"
(inteso come insieme delle libertà formali e politiche dell'individuo) non può essere scisso, come invece sostiene Dewey, dal "liberismo" (inteso come
libertà di perseguire l'utile economico).
Dato che questo problema investe direttamente la visione culturale stessa su cui poggia un partito che si richiama, contemporaneamente, alla sinistra e
alla libertà, mi sembrerebbe doveroso un attimo di riflessione e di approfondimento.
Il liberalismo, nella sua accezione comune, nasce durante il 1700 sotto la spinta di quel movimento chiamato "illuminismo inglese". Fondamentale è stata,
per gli sviluppi del liberalismo, la visione filosofica di John Locke e, prima di lui. in sede, diciamo, più "giuridica", di Ugo Grozio.
L'olandese Grozio, sulla spinta di quella autentica "rivoluzione" che è stata la Riforma protestante, afferma che l'uomo possiede una ragione valida "anche
se, cosa empia, Dio non esistesse".
La ragione dell'uomo quindi approva, o vieta, le azioni "in sè", e non perchè una legge divina lo prescriva. E la ragione, sotto l'impulso dell'evidenza,
individua alcuni diritti "naturali" dell'uomo, e li individua nel diritto alla vita, alla libertà ed ai beni.
Il concetto di "bene" (evidentemente economico) dell'individuo entra quindi, già dal 1500, nel, diciamo, "patrimonio genetico" del nordeuropa riformista.
La riflessione di Nocchi presenta dunque un fondamento "certo". Egli infatti si chiede: "e' credibile un'interpretazione della teoria liberale come astraibile,
nei suoi fondamenti formali, dalle condizioni materiali, dagli interessi, dalle motivazioni profonde che l'hanno resa possibile?"
Stando a quanto dicevo di Grozio, no.
Tuttavia, ritengo, c'è stata anche un'altra interpretazione della democrazia "liberale": quella nata dalla Rivoluzione francese.
Nell'illuminismo detto "continentale", la libertà individuale della tradizione anglosassone diventa "diritto", ed assume dunque una veste, diciamo, più
legata alla collettività (e meno all'individuo).
Tutto ciò è da legarsi, tanto per tornare al tema principale del saggio di Nocchi, ad una "sintesi conoscitiva" europeo-continentale assai diversa da quella
anglosassone.
E'da chiedersi piuttosto se una democrazia "giacobina" europeo-continentale sia ancora proponibile. E' da chiedersi, ovvero, se la mutata scena economica,
sociale, politica, possa permetterla ancora. Ma questo vuol solo dire che è da chiedersi se la "sintesi conoscitiva" degli europeo-continentali sia ormai
divenuta quella degli anglosassoni...
In realtà, abbiamo visto come nello scenario storico-politico non possano esservi "definitività". L'elezione di B.Obama; l'ascesa dell'estrema destra
nel quadro della politica europea; il rinascere di forti movimenti politici contrapposti dimostrano come la "sintesi conoscitiva" non può essere intesa
come un qualcosa dall'andamento "regolare". Le dinamicità storiche non permettono di adagiarsi su "verità già raggiunte".
Di conseguenza, la sinistra politica può, e deve, riproporre quella che è la sua visione di società, di cultura, di politica: la sua "ideologia". Una
"ideologia" intesa certo non come chiusura "ontologica"; ma come apertura a sintesi conoscitive "possibili".
Bisogna, in sostanza, interrogarsi proprio sulla "possibilità" di una sintesi fra l'idea di sinistra e la democrazia come sistema politico.
La mia risposta alla, per certi versi tremenda, domanda di Nocchi è allora questa: sì, è possibile un'interpretazione "di sinistra" della teoria liberale a patto che la
"libertà" venga vista come "diritto".
Ma questo sposta il tema della discussione sul concetto di "stato", sulle sue forme e sui suoi poteri, ovvero sulle teorie del diritto come "naturale" o
come "positivo", perchè è evidente che solo uno stato che "pone", esso, il diritto può imporsi sulle libertà che l'individuo, spesso, SI prende (con la forza).