ALLE ORIGINI DEL “MARCHIONNISMO”E così Sergio Marchionne ha deciso che Torino non sarà più la "capitale dell'auto", ma tutt'al più UNA delle capitali dell'auto... Coloro che credevano, o speravano, che gli appetiti di Marchionne sarebbero stati placati dall'accordo ricattatorio di Mirafiori sono stati serviti: esportare quelli che Marchionne definisce "centri direzionali" vuol solo dire impoverire il know-how italiano; tutto il settore legato alla progettazione e, in definitiva, impoverire tutto quell'indotto che attorno ad una FIAT torinese ed italiana ruota. C'è, io credo, molta ingenuità in coloro che si illudono di placare la sete inesauribile del capitalismo: il capitalismo non può che espandersi, sempre. Perché il capitale è quello che si "forma"; è quello, ovvero, che contiene intrinsecamente un movimento dinamico. Il capitale non può "fermarsi", perché nel fermarsi perderebbe quella che è la sua caratteristica precipua: un capitale fermo è un capitale non più dinamico, ma un capitale che perde terreno nei rispetti di un'altro capitale che, immediatamente, sorgerebbe per sovrastarlo con la sua dinamicità. Ogni concessione a Marchionne sarà, per questo, sempre seguita da nuove richieste. Ogni ricatto sarà, necessariamente, seguito da un altro ricatto. In realtà, è fin troppo facile scorgere nel "Marchionnismo" i segni di quel processo che il grande economista conservatore Josef Schumpeter descriveva con grande lucidità intellettuale già negli anni 40 del 900. La trasformazione della "proprietà", cui l'inizio della massiccia diffusione della "Società per Azioni" ha dato una decisa e decisiva svolta, è la trasformazione della FIAT in una spersonalizzata società finanziaria. Una società non più, dunque, riconducibile alla grande e classica famiglia di industriali (nel nostro caso gli Agnelli), ma ad un ben consolidato ed impersonale duopolio: grandi e piccoli azionisti. Che Ed in realtà, l'accordo di Mirafiori non era certo finalizzato ad una maggior produttività (a questo basterebbe, a ben pensarci, che Lo stesso segnale che lancia oggi, ipotizzando una FIAT sempre più internazionalizzata, e quindi sempre meno permeabile dalle pastoie che gli stati nazionali ancora si permettono di “costruire”. E' ormai chiaro a tutti che ad un capitalismo internazionale non possono corrispondere stati nazionali. Oggi sta avvenendo, in ben altra scala, ciò che avvenne nel medioevo, quando i primi mercanti trovavano insopportabili certi vincoli "statuali" (qualcuno forse ricorderà l'esclamazione: "un fiorino!", pronunciata dal doganiere nel celebre film "Non ci resta che piangere"). L'incongruenza fra economia e stato produsse, allora, la "lex mercatoria": la legge del mercato, e questa "legge" sopravanzò gradualmente l'istituzione feudale, dando origine, in Italia, alla Signoria, e altrove ai primi embrioni dello stato nazionale. Difficile dire cosa produrrà, oggi, la "lex mercatoria". Alla internazionalizzazione del capitale dovrebbe, razionalmente, corrispondere l'internazionalizzazione dell'istituzione politica, ma non sembra questa la strada. All'inadeguatezza dello stato nazionale, ancor oggi legato alla visione classica ottocentesca del "sangue e del territorio", si sta invece rispondendo con la riscoperta delle "piccole patrie", ovvero con il riproporre la stessa visione, ma ancor più definita e precisa nei suoi confini. La stessa cosa sta avvenendo ad altri livelli, quale quello sindacale, dove all'inadeguatezza del contratto nazionale si sta rispondendo con un tipo di contratto, quello aziendale, ancor più definito e specifico. Quanto ci sia di razionale (ma ci accontenteremmo anche di un "ragionevole") in tutto ciò è ben difficile capirlo. Mauro Rossi (portavoce Sinistra Ecologia Libertà circolo "Altotevere Umbro")
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